Quando la rivista Topoi, che fondai e diressi per trent’anni, raggiunse il 25imo anno di vita, curai personalmente un numero intitolato Philosophy: What Is to Be Done?, in cui chiesi a 25 filosofi di ogni estrazione e collocazione geografica (poi finirono per essere 26) di dire che cosa pensassero la filosofia sarebbe diventata o dovesse diventare. Dan Dennett mi mandò un contributo intelligente e spiritoso dal titolo Higher-Order Truths about Chmess (lo trovate gratuitamente in rete, digitandone il titolo), che descriveva una forma di scacchi (chess) da lui appena inventata (allo scopo di scrivere il suo pezzo) in cui il re può muovere di due caselle invece che una in ogni direzione. Dan osservava che in chmess, come in chess, ci sono profonde verità da scoprire e si potrebbero costituire circoli di entusiasti dedicati a scoprirle, ma ammoniva che né profondità né entusiasmo garantirebbero che questa attività abbia un futuro e che il tempo impiegatovi non finirebbe per essere buttato via. Se è edificante sognare un mondo in cui fioriscano mille fiori, sentenziava, è anche opportuno ricordare che 995 sfioriranno. Allo stesso modo, dunque, invitava i giovani studiosi a non lasciarsi ingabbiare in progetti di ricerca solo perché erano complicati e perseguiti con passione da un gruppo di fedeli praticanti: anch’essi infatti potevano rivelarsi fuochi di paglia.
In quanto scoraggia dal lasciarsi sedurre da mode di breve respiro, l’articolo di Dan è prezioso; in quanto fa presente ai giovani studiosi che esiste una dimensione pratica del loro studio (che di quello studio, almeno tendenzialmente, vorrebbero vivere), suggerisce di esercitare un sano buon senso. Esiste anche, però, un aspetto antifilosofico e generalmente antiintellettuale in quel che dice, che richiama da un lato l’operare per passione e non per profitto e dall’altro le perplessità espresse da Tommaso nel suo ultimo commento.
Operare per passione e non per profitto vuol dire che il buon senso non ha corso: che ci si appassiona al chmess non meno che al chess o all’economia aziendale. Vuol dire che si gira per Atene vestiti sommariamente e sbarcando alla meglio il lunario per fare domande che gli altri, perlopiù, trovano assurde. Vuol dire che ci si guadagna da vivere intagliando lenti e intanto si articolano in profondo e raffinato dettaglio tesi che ci faranno scomunicare da ogni chiesa; o si finisce sul rogo per aver voluto dare a Dio più dignità di quanta gliene conferisca l’ortodossia. Vuol dire che si gioca a quel che si vuole giocare senza preoccuparsi che i professori approvino, anzi senza neanche curarsi di quel che fanno i professori. Magari quel che si fa è chmess, e magari sfiorirà; ma l’importante è che valga per noi.