L’ultimo teorema di Fermat ha un enunciato di ingannevole semplicità. Sappiamo che esistono numeri naturali tali che la somma dei quadrati di due di essi dà come risultato il quadrato del terzo; per esempio, la somma del quadrato di 3 e del quadrato di 4 dà il quadrato di 5. Il teorema asserisce che non esistono tre numeri siffatti per nessun’altra potenza: non esistono due cubi la cui somma sia un cubo, o due quarte potenze la cui somma sia una quarta potenza… Fermat era un amico di Leibniz che, in margine alla sua edizione dell’Arithmetica di Diofanto, scribacchiava tutti i teoremi che aveva dimostrato, senza riportare la dimostrazione. Prima o poi, tutti quei teoremi furono dimostrati; ne rimaneva uno, l’ultimo appunto, che era ancora indimostrato tre secoli e mezzo dopo Fermat. Fu infine il matematico inglese Andrew Wiles a risolvere l’enigma, nel 1995; ma quel che conta per noi è che Wiles non dimostrò il teorema direttamente – dimostrò invece (parte di) un altro teorema, detto di modularità, da cui si sapeva che sarebbe seguito l’ultimo teorema di Fermat. E il teorema di modularità non appartiene neanche all’aritmetica cui appartiene il teorema di Fermat; riguarda invece curve ellittiche e forme modulari, delle quali qui basterà dire che sono nozioni assai più avanzate ed esoteriche dei quadrati e dei cubi di cui parla Fermat. Talvolta, per risolvere un problema, dobbiamo ampliare e approfondire la nostra prospettiva in misura non prevedibile a chi si limiti a considerare il problema stesso.
Renza ha citato tre temi che sono stati discussi finora nei nostri scambi: lavoro, istruzione e Stato. In tutti e tre i casi, il tema solleva gravi questioni. Come gestire la disoccupazione crescente, o la competizione fra tecnologia e lavoro umano? Come gestire una scuola che sembra sempre meno in grado di istruire o educare i propri studenti? Come gestire una situazione in cui gli Stati nazionali sono resi imbelli dallo strapotere delle multinazionali? E in tutti e tre i casi le questioni possono essere affrontate (e sono solitamente affrontate) nei loro stessi termini, nel vocabolario in cui sono esse stesse formulate. Si inventano nuovi lavori o nuove esigenze che il lavoro dovrebbe soddisfare; si inventano nuovi test, nuovi programmi o nuovi strumenti di valutazione cui sottoporre gli studenti; si inventano nuove forme di nazionalismo per difendersi dalla globalizzazione. E non si cava un ragno da un buco. Perché tali questioni non possono essere efficacemente affrontate al loro livello; la nostra prospettiva deve essere notevolmente ampliata e approfondita prima che si possano fare in proposito seri progressi. Il che naturalmente richiede tempo, sforzo e intelligenza, tutte cose che difettano tragicamente a politici di ogni tendenza e di ogni paese. Sono decenni che li vedo ritirarsi per un fine settimana in un luogo ameno ed emergerne con il progetto di una nuova sinistra (o destra); e da decenni sono convinto che una simile superficialità non offra nessuna speranza.
Bisogna allungare lo sguardo dai quadrati e dai cubi alle curve ellittiche e alle funzioni modulari. Fuor di metafora, da lavoro, istruzione e Stato a quel contesto umano (e non) in cui vanno collocati lavoro, istruzione e Stato (e molti altri temi – in sostanza, tutti i temi che contano). Bisogna fare quel che politici di ogni tendenza e di ogni paese non sono attrezzati a fare: la ricerca di base da cui solo ci si possono aspettare risultati applicativi validi. Tanto noi non dobbiamo essere eletti e lavoriamo in questo senso per passione, non per profitto.
Renza says
June 11, 2017 at 7:41 pmIl post di Ermanno fa tremare le vene e i polsi… I quadrati e i cubi sono rassicuranti; qualche invettiva, alcune lamentazioni, due o tre sentenze : si pensava che potessero bastare. Invece bisogna cercare le ellissi che non sono subito visibili. Un lavoro non facile ma va bene così, visto che dovremmo interrogarci proprio sul lavoro non facile. Poi, mi piace l’ idea di lavorare per passione e non per profito.
Però Ermanno deve dare una mano; anche se ci ha già dato i suoi libri che ci aiutano a ritrovare il pensiero ( e i punti che non tengono) e che ci guidano, abbiamo ancora bisogno di un’ indicazione di prospettiva.